Alzheimer: la scoperta che cambia tutte le regole sulla malattia

Una ricerca recente condotta da alcuni studiosi dell’Istituto superiore di sanità e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, insieme ai ricercatori dell’IRCCS San Raffaele di Roma, potrebbe rivoluzionare la diagnosi e la terapia di una delle malattie neurovegetatve più diffuse nel mondo. Solo nel nostro paese due milioni di persone circa convivono con dei disturbi cognitivi.

Alzheimer: lo studio che rivoluziona la diagnosi e la terapia

55 milioni di persone nel mondo sono affetti dall’Alzheimer, una patologia neurovegetativa fra le più gravi e, secondo gli esperti, le cifre sono destinate ad aumentare nei prossimi anni. Solamente in Italia ci sono 1 milione e 100.000 persone diagnosticate affette da questo disturbo e un altro milione, con disturbi cognitivi gravi, in attesa di una diagnosi.

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È recente uno studio condotto dall’IRCCS San Raffaele di Roma, dall’Istituto Superiore di Sanità e il Consiglio Nazionale delle Ricerche che potrebbe rivoluzionare i trattamenti di questa malattia e abbreviare i tempi della dagnosi. Nello specifivo, i ricercatori hanno scoperto un nuovo meccnismo molecolare responsabile della perdita della memoria e del progressivo declino congitivo, tipico di questo genere di malattia.

I risultati della ricerca, pubblicati all’interno della rivista scientifica EMBO Reports, hanno evidenziato il ruolo cruciale della proteina DNA-PKcs non solo nel riparare il DNA, ma anche nel preservare la salute e un corretto funzionamento delle connessioni neurali. Un scoperta che potrebbe avere un impatto significativo nella comprensione dell’Alzheimer e nelle conseguenti terapie.

Il rulo chiave della proteina DNA-PKcs nell’Alzheimer

Come spiega il ricercatore del San Raffaele di Roma, Leonardo Lupacchini, quando la proteina DNA-PKcs non funziona in modo corretto, le connessione fra i neuroni diventano più deboli; come conseguenza, la capacità di elaborare le informazioni e la memoria della persona vengono compromesse, come accade nei malati di Alzheimer.

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Questa scoperta potrebbe dare il via a diagnosi più precoci e a terapie ancora più mirate che aiutino a rallentare il declino cognitivo dei malati. Gl scienziati sono impegnati ora a scoprire come modulare questa proteina e mantenere più a lungo la salute delle connessioni neuronali, in modo tale da assicurare una progressione più lenta delle malattie neurodegenerative.

Nel 2016 gli stessi ricercatori avevano fatto un’altra scoperta importante: avevano osservato, cioè, che l’attività della proteina DNA-PKcs viene compromessa dalla beta-amiloide, una proteina che tende ad accumularsi nel cervello delle persone affette dall’Alzheimer. Come conseguenza, l’inibizione del DNA-PKcs comporta inevitabilmente la morte progressiva dei neuroni, uno fra i sintomi più comuni e gravi nelle patologie neurodenerative.

Alzheimer: prospettive future

Questa scoperta scentifica potrebbe rivoluzionare radicalmente lo scenario sanitario e offrire nuove prospettive future a dir poco incoraggianti. Come sappiamo, una diagnosi precoce ha un’importanza enorme nelle malattie: ancora di più in quelle neurodegenerative, dove i medici cercano di mettere in atto qualsiasi strategia che sia efficace a rallentare la loro progressione.

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L’Alzheimer, come le altre forme di demenza, non ha un impatto importante solamente sulle famiglie coinvolte, ma anche nell’ambito socio-sanitario del paese e quindi nella popolazione, in generale. Basta pensare che questo genere di patologie rappresenta tutt’oggi una delle sfide più urgenti che deve affrontare la sanità pubblica.

Ecco perché una scoperta come questa ha avuto un clamore enorme: potrebbe cambiare rdicalmente il futuro sanitario del nostro paese, e non solo, m anche quello degli altri. Una ricerca scientifica che ha aperto la strada a nuovi studi futuri, più mirati, e che potrebbe presto aiutare moltissime persone coinvolte.

L’Alzheimer colpisce il 25% degli ultraottantenni

Ancora oggi l’Alzheimer è una fra le malattie neurodegenerative più diffuse fra le persone anziane. In generale, questa patologia colpisce il 5% degli over 65 e il 25% circa delle persone al di sopra degli 85 anni. Come tutti i disturbi neurodegenerativi, anche l’Alzheimer provoca un progressvo e irreversbile declino delle attività cognitive; va da sé che ogn scoperta in grado di rallentarne il decorso acquisisce un’importanza fondamentale.

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Le persone affette dall’Alzheimer sono destinate a perdere gradualmente le loro capacità di ragionamento, linguaggio e memoria fino a diventare non più autosufficienti e aver bisogno di un aiuto costante per svolgere le normali attività della vita quotidiana. Anche se i sintomi possono essere diversi da persona a persona, è importante prestare attenzione a uno in particolare, il più precoce.

La perdita della memoria è un grande campanello d’allarme che non va assolutamente ignorato, perché potrebbe essere il segnale dell’insorgenza di questa malattia. Al sintomi che possono colpire le persone affette da Alzheimer sono: difficoltà di linguaggio, depressione, disorientamento temporale, fatica a riposare bene durante la notte, agitazione, nei cas più grav perfino deliri e allucinazioni.

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